Chiesa di Santa Maria del Tiglio
La Chiesa di Santa Maria del Tiglio è un luogo permeato da un’atmosfera unica.
Gravedona è soprannominata il luogo delle cento chiese, ma questa merita una menzione particolare. È anche per merito della posizione che ne acuisce la sensazione di pace e rispettoso silenzio che si respira arrivando qui. Il verde del prato e l’azzurro del lago che circonda l’edificio creano uno scorcio che sembra partorito dal pennello del più bravo artista. Gravedona fece parte della Repubblica delle Tre Pievi, territorio semi-indipendente lombardo costituito dopo la Pace di Costanza (1183). Per circa quattro secoli fu un importante centro di diffusione del cristianesimo. Ebbe il privilegio di avere propri magistrati, di battere moneta e di avere un proprio vessillo. Lo stemma della Repubblica delle Tre Pievi è ancora oggi l’emblema dei tre paesi che ne facevano parte.
La chiesa
La Chiesa di Santa Maria del Tiglio sorge su quella che può essere definita l’area sacra di Gravedona, comprendente anche la vicina parrocchiale di San Vincenzo (1072), di cui vale la pena visitare la cripta. Questo era un luogo di culto già in età romana. Nelle due chiese sono presenti materiali di recupero di tale epoca. La chiesa viene citata per la prima volta come battistero paleocristiano del V secolo, dedicato a San Giovanni Battista. L’importanza religiosa del luogo è poi sancita dall’edificazione del complesso formato da chiesa plebana e battistero.
Nei documenti di un’antica abbazia della Germania Occidentale, troviamo un testo, dell’823, che parla di un affresco miracoloso dipinto in questa chiesa, raffigurante l’Adorazione dei Magi, che per due giorni rifulse di luce propria. L’edificio restaurato nel XII secolo, viene fatto risalire alla regina Teodolinda. Il nome deriverebbe da una pianta di tiglio cresciuta sul campanile a fine costruzione. È un esempio chiaro di stile romanico, costruita utilizzando la pietra locale, il marmo bianco di Musso e la pietra nera di Olcio.
La facciata
La facciata è movimentata da archetti pensili, lesene e feritoie, mentre qua e là le finestre ornate da cordoni e profili fanno da contrappunto a loggiati, colonne, loculi e absidi. Posteriormente è posizionato il campanile dalla sezione quadrata in basso ed ottagonale in alto, con bifore e trifore sotto la cella campanaria. Osservando la facciata, si notano dei blocchi squadrati bianchi, simbolici. Uno riporta il serpente annodato, uno il cervo ferito da una freccia conficcata nella gola. Poi la figura scolpita del Sagittario. Tra loro, una rappresentazione geometrica degna di attenzione.
Salendo ancora si incontrano gli archetti pensili, ciascuno realizzato in un unico blocco, sormontati da denti di sega. Su questa stessa facciata, poco più in alto, si nota una faccina scolpita, ma non alla maniera dei Comacini. Infatti dovrebbe essere una testa di epoca romana, proveniente da un corredo funerario. Su due blocchi diversi, si osservano delle protuberanze tondeggianti, i tett de la regina, attribuendoli, popolarmente, alla regina longobarda Teodolinda che sovvenzionò i lavori di restauro.
Interni
Dentro l’atmosfera è sobria, essenziale. Gli spazi vuoti invitano al raccoglimento, mentre l’occhio corre dall’austera pavimentazione e agli affreschi sulle pareti. Tra i più significativi, quello raffigurante il Giudizio Universale del XIV secolo. Sotto il racconto prosegue con la raffigurazione dei sette vizi e delle sette virtù, fino all’allargarsi della prospettiva con la Gerusalemme Celeste, in cui l’anonimo pittore trecentesco collocò le scene in riquadri. Inserì i riconoscibili campanili di S. Maria del Tiglio e quello dell’Abbazia di Piona.
Splendido è anche il Crocifisso ligneo risalente al XIII secolo. Il Crocifisso è stato ricavato da un unico tronco di pioppo che non venne svuotato all’interno e le braccia, successive, con legno di ontano. I tecnici rimarcano la somiglianza del Crocifisso con botteghe d’oltralpe e specialmente con il Crocifisso in bronzo dell’abbazia di Werden. Guardando il volto di questo Cristo antichissimo, ci accorgiamo che racchiude tutto il mistero della Morte e della Vita. È un Uomo che non sembra giovane come tanti Cristi rappresentati, è senza tempo, eterno.
Fuori la quiete del lago, con il turchese delle acque che fa da palcoscenico alle verdi pendici del Monte Legnone, sull’opposta sponda lecchese, riconduce ad armonizzare con ciò che ci circonda.